Microplastiche, protagoniste dell'inquinamento marino

Le microplastiche, così vengono definite le particelle plastiche micrometriche, cioè di dimensioni assai ridotte (inferiori al micron). In generale le materie plastiche sono formate da catene di polimeri derivate dalla struttura chimica del petrolio. Oggi, la plastica rappresenta uno dei materiali più usati e diffusi, per via delle sue ottime caratteristiche meccaniche accompagnate da costi relativamente bassi, sia per la produzione che per il ricavo della materia prima. Naturalmente un materiale così complicato come la plastica necessita di un sistema di smaltimento adeguato. Molto spesso, per negligenza, i rifiuti plastici sono abbandonati in discariche abusive o peggio, in mare. Tutto ciò può sembrare scontato, ma oltre agli innumerevoli danni alla flora e alla fauna marina, dopo parecchi anni le materie plastiche tendono a degradarsi, dividendosi a livello molecolare e iniziano a diventare sempre più difficili da smaltire. Avendo dimensioni ridotte, queste particelle finiscono per contaminare l'intero ecosistema marino e, di conseguenza, anche l'essere umano. Le microplastiche, se assorbite in dosi massicce possono aumentare le probabilità di contrarre tumori, essendo infatti prodotti chimici nocivi.
Dati preoccupanti
Una recente analisi del "Geomar Helmholtz Centre for Ocean Research " ha riscontrato un'alta presenza di microplastiche, circa 300 particelle per metro cubo nel mar Mediterraneo, seguito da circa 152 nelle coste Sudafricane e da 115 nella zona australiana. Persino uno degli oceani meno inquinati al mondo, quello indiano, riporta dei dati preoccupanti: circa 42 particelle per metro cubo. Se la situazione continuerà a peggiorare, tra non molto non esisterà più neanche un tratto di mare non inquinato.

Fonte: Greenstyle, Greenpeace